Recensione di Aquaman, ovvero perché non voglio più tornare al cinema per i prossimi 5 anni. (Spoiler alert)

Era solo una questione di tempo quella che mi separava da una poltrona rossa davanti a uno schermo posto troppo in basso, in un ex cinema moderno, sul quale avrebbero proiettato l’ennesimo film di supereroi, nella fattispecie supereroi della DC comics. Questa flagellazione impostami dai miei amici ha una frequenza regolare nel corso del tempo pari soltanto ai tentativi, riusciti o meno, di furto della mia auto che si perpetrano nei primi giorni di gennaio da qualche anno a questa parte. C’è da dire a discolpa dei ladri che la tradizione dei supereroi va avanti da più tempo, anche se fortunatamente non si tratta sempre di eroi DC.

Ad ogni modo ci ritroviamo in tre sulla soglia del cinema, tutti sopra la soglia dei trent’anni, a spegnere quella che aveva tutta l’impressione di essere l’ultima sigaretta frutto del desiderio finale del condannato a morte, esecuzione sentenziata attraverso l’assunzione di quantità spropositate di Chipster e coca cola annacquata, finanziate dal risparmio su due ingressi (Dio benedica i voucher). Chiaramente l’esperienza ci suggeriva che non sarebbe stato il cibo spazzatura di cui avevamo già abusato durante la proiezione dei trailer a rovinarci il fegato per cui, animo in pace e bocche cucite imposte dalle due file precedenti e successive alle nostre, ci accingiamo alla visione del film. Aquaman è il genere di film di genesi degli eroi che induce lo spettatore avvezzo a tale tipo di visione sin dall’infanzia allo stracciamento istintivo dei propri genitali, tanto è vero che i miei due compagni seduti accanto a me galleggiano tra il sonno e la veglia per tutta la prima metà del film (forse l’età è ormai troppo avanzata per cominciare a vedere un film alle 22.30). Ma al di là della questione del sonno all’inizio Aquaman è proprio quel tipo di film che ti fa sperare che qualcuno ti disturbi al cellulare e che sia abbastanza importante da farti alzare e uscire dal cinema, a pensare al futuro e lasciarti dietro per sempre gli effetti speciali, Nicole Kidman imbalsamata in un sarcofago di plastica e gli assoli di chitarra elettrica didascalici sui primi piani di Jason Momoa che sorride furbetto dopo aver spaccato il cranio a qualcuno. Così mentre lentamente il nostro film scorre sempre più giù nelle profondità oceaniche, i nostri culi scivolano di pari passo sempre più in basso nelle nostre poltrone fino a che le luci si accendono per la fine del primo tempo che qualche dio generoso ha deciso di reinserire negli spettacoli o forse appositamente soltanto per pietà verso di noi.

Non sono ancora tutti rientrati in sala quando la protagonista femminile, vagamente ispirata alla Sirenetta Disney, decide di buttarsi senza paracadute da un aereo in volo sul deserto del Sahara, seguita a ruota da una battuta stracciacazzi applausi sulle rosse e da Aquaman stesso, in un repentino cambio di ambientazione che in combinazione con la pausa di cinque minuti stravolge non di poco il letargo sinaptico in cui erano caduti gli spettatori: e così, dopo un breve flirt nel bel mezzo del deserto i due si concedono una bella vacanza a Taormina prima di affrontare i temibili nemici di Atlantide, i cosiddetti trench (sic!), che con tutta evidenza sono generosamente finanziati dai produttori di cappotti a tre quarti impermeabili. Dopo un breve giro di abbracci coi parenti ritrovati si va subito a recuperare l’antico tridente, appena in tempo per compiere un mezzo genocidio che ferma una guerra mondiale sottomarina e lascia intendere chi comanda davvero adesso (Aquaman con una tuta da pesce).

Alla fine usciamo dal cinema che la temperatura è sotto zero ma almeno non siamo più in apnea e siamo abbastanza grati di essere sopravvissuti anche a questo strazio, ma sono consapevole che un pezzettino di cervello, anche molto piccolo, non funziona più come prima e piano piano mi sto abituando a farmi imboccare le cose come un bambino (o un perfetto cretino) che è ultimamente anche il target a cui punta il cinema, che a quanto pare ha lasciato il passo a Netflix per le cose serie (metà dei trailer trasmessi al cinema rimanda lì). È vero che al confronto con la trama di questo cinecomic, Jennifer Lopez col profilo instagram hackerato dal nipote risulta essere un thriller imprevedibile, è vero tutto, ma nonostante ciò questo film, citando Variety, davvero è un po’ uno shock che non faccia così schifo, anche se il presentimento è che ciò non sia dovuto alla bravura di chi l’ha fatto.